DR NANNI E MR APICELLA

Clément Deleschaud
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Clément Deleschaud, Fiches du Cinéma


Les Fiches du Cinéma è la rivista francese sul cinema più antica e la sua peculiarità consiste nella sua esaustività. Infatti, il suo comitato editoriale scrive su tutti i film di lungometraggio che escono in sala sul territorio francese, il che fa della rivista una delle fonti francesi sul cinema più complete dal 1934.

Per questa 5a edizione del festival Italie Nouvelle, abbiamo voluto collaborare con Les Fiches du Cinéma con lo scopo di proporre tre articoli che esplorano diversi aspetti del “corpo” rappresentati nel cinema, permettendo di completare la nostra programmazione ma anche di offrire punti di vista plurali sull'argomento. Margherita Gera, Adèle Bossard-Giannesini e Clément Deleschaud sono i tre giornalisti che hanno accettato di partecipare a questo progetto. Li ringraziamo molto e speriamo che i loro contributi possano piacervi, quanto sono piaciuti a noi!


Clément Deleschaud

Dr Nanni e Mister Apicella


“Se si balla, non vengo”, risponde Michele Apicella ai suoi amici (o, più precisamente, ai suoi compagni comunisti) quando viene invitato a una festa. Rifiuto categorico, ostracizzazione volontaria, posizione di superiorità dell’intellettuale, inflessibile e irremovibile, come se la sua lucidità si sarebbe smussata nello scontrarsi con la pista da ballo? Certo che no. Il velleitario indugia, piagnucola, indica che alla fine viene – a condizione di potersi sedere in un angolo, e di essere scoperto con la coda dell’occhio – e si impunta sulla sua posizione. Non importa che partecipi corporalmente alla festa: la sua esitazione apre una via, si fa strada. L’ultra-assenza è anche l’ultra-presenza.

Questa scena di Ecce Bombo (1978), insieme ad altre, opera come un passaporto, una monografia filmica, per un eroe e il suo alter ego: Nanni Moretti e Michele Apicella. Il primo è regista; il secondo, la sua emanazione cinematografica. Collaborazione proficua, che si dispiega il tempo di cinque film incatenati gli uni agli altri con una rete sotterranea di personaggi, di citazioni, di derive urbane: Io Sono un Autarchico (1976), Ecce Bombo (1978), Sogni d’oro (1981), Bianca (1984) e Palombella Rossa (1989). La relazione tra Nanni Moretti e Michele Apicella non è del tipo del doppio puro e semplice, dell’io mimetico. Al contrario, Apicella non ha niente da recitare perché la sua tragedia risiede interamente in questo corpo inerte, ignifugato al braciere di un’epoca di tensioni (speranze annientate del ‘68, ascesa comunista e appassimento, anni piombati) alla quale crede di partecipare – testimone impotente tanto quanto attore invadente.

Perché Apicella prende in prestito il corpo di Moretti per farne il suo, il suo lui-senza-esserlo. Corpo strano, rigido, ma anche flaccido e pigro, morbido e vigile, insignificante e ideologico. Capellone con i baffi, che porta nella sua fisionomia il linguaggio e il bagaglio infra-linguistico del giovane piccolo-borghese di sinistra, poi mentre esibendo un taglio più corto, più ragionevole, e una barba, più paternalista, Apicella si posiziona nei “suoi” film come il centro del discorso. Bestemmia, grida, espelle e ingurgita (del dentifricio in Io Sono un Autarchico, un barattolo gigante di Nutella in Bianca): la sua festa del corpo rappresenta sempre la sconfitta del linguaggio, e testimonia di un ingombro. Un figlio tra i piedi in Io Sono…, un nucleo familiare da smantellare in Ecce Bombo, una memoria individuale che scompare e ricompare come un'eruzione mentale in Palombella Rossa: c’è sempre un ostacolo che impedisce di vivere, di vivere bene, con serenità, adeguatamente. “Come sono fatto male!”, dice a un’amante inconsolabile, colpevole di averlo amato.


Questa contraffazione di concepire il mondo e i suoi rapporti intimi, che siano politici o romantici – il che è la stessa cosa per Apicella, per il quale amare si realizza con un impegno assoluto e opaco, quindi illusorio per natura -, è anche questa solitudine immensa della famiglia, della casa, dei bambini e delle donne, degli amici e delle feste, di questo buco convenzionale che si rivela essere il quotidiano, vanità nella quale non si decide a tuffarsi definitivamente. Non si contano più le immagini condivise, i Gif animati, gli sfondi dello schermo e i ricordi dei cinefili che implicano questa falsa misantropia morettiana (apicelliana?): un giovane solo su una spiaggia ricolma di amanti abbracciati, un ex militante che spia la rinascita studentesca, uno sportivo che dà uno schiaffo a una giornalista come per suggellare il suo distacco del mondo dell’informazione…

Apicella è solo nella sua molteplicità, in questa tela di attività dove fa tutto per non fare niente (e dove è, a seconda dei film, attore di teatro, disoccupato, regista, istitutore, sportivo, sindacalista). L’italiano sembra di essere la sua lingua naturale, poiché si oppone all’occupazione, dunque alla mercantilizzazione del suo posto sulla terra, una dis-occupazione, una disoccupazione. Espone il suo posto vacante e lo esibisce come un trofeo, fino alla regressione (lo stato di plenitudine intra-uterino dell’amnesico nella piscina in Palombella Rossa), fino all’avvilimento (gli omicidi frenetici, in Bianca, di quelli che rifiutano anch’essi di giocare il gioco di amarsi per il bene della comunità).

Il corpo Moretti evolverà: acquisterà più consistenza e opacità in Caro Diario e Aprile, si riempirà di gioia nativa e di disillusione fisica e sociale. Si decentrerà ne La stanza del figlio, si travestirà nel Caimano, si diluirà, in Habemus Papam e Mia Madre. Insomma, troverà il proprio posto. Accanto a ciò, appare però sempre altrettanto vivificante immergersi di nuovo nell’egotismo pulsante degli anni Apicella, nella sua estetica immobile come una camera di decompressione (centinaia sono le scene dove i corpi sazi di parole in troppo digeriscono i loro discorsi sdraiati sul divano), nella sua poetica dell’impedimento, dell’inadeguatezza, del suo umorismo burlesco fatto anche di balbettii, di canne fumate giocando al Subbuteo o di inghiottimento morboso di cibo. Non si balla, non si ride, o a denti stretti, si sbatte la testa contro i muri, si sbullonano le statue di Moravia, Bassani, Alberto Sordi, si ha un incidente stradale, si pensa di lanciare la palla a destra e si continua a lanciarla a sinistra, anche se ciò costa la vittoria per se e per la comunità che ci sostiene: il corpo di Michele Apicella, nelle sue evoluzioni e le sue convulsioni finali, nei suoi crimini impuniti e nella sua crudeltà pallida, dipinge il ritratto fisico e morale di una gioventù confrontata al corpo malato e putrescente di una società ch’egli aborrisce e di cui fantasma la distruzione, anche se dovesse pagarlo con la sua propria vita, salute, libertà.


Traduzione di Cecilia Fini, Barbara Lorizzo e Giulia Zoccolan.



Clément Deleschaud è critico cinematografico e, dal 2015, membro del comitato di redazione della rivista Les Fiches du Cinéma. Partecipa regolarmente alla trasmissione radiofonica Longtemps je me suis couché de bonne heure di Radio Libertaire.

Per scoprirne di più sui suoi gusti cinematografici, vi invitiamo a guardare il suo questionario cinefilo sul sito delle Fiches du Cinéma: https://www.fichesducinema.com/2020/04/le-questionnaire-cinephile-de-clement-deleschaud/

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